Ipotesi per dispositivi di mira e ritenuta della verretta sulle balestre del XIII-XV Secolo

Di Luca Litoideo
Pubblicato su Ars Historiae, Anno 07 – n. 26, Aprile/Giugno 2011 – pagina n.48

Da ciò che emerge dall’iconografia e dai reperti di quell’epoca, erano balestre prive di organi di mira e di dispositivi di ritenuta del dardo nella noce e quindi ci si pongono alcune domande:
Come si poteva effettuare un qualunque movimento sul campo di battaglia senza perdere il dardo?
Come si effettuava il tiro dalle mura (ossia puntando verso il basso) ?
Se non ci sono organi di mira il tiro come può essere preciso?
Se davvero la balestra avesse avuto queste mancanze avrebbe potuto avere la diffusione che ebbe?

Discutendone con varie persone ho sentito le ipotesi più disparate, alcune delle quali vendute come certezza; ad esempio alcuni hanno sostenuto che sicuramente c’erano degli organi di mira ma i disegnatori dell’epoca non li hanno ritratti; altri mi hanno dato per certo che nei musei i restauratori li hanno asportati. E’ possibile che innumerevoli autori di tutto il mondo di allora trascurassero sempre lo stesso dettaglio e che tutte le balestre siano state manomesse dai restauratori?
Non ho avuto la fortuna di poter osservare da vicino reperti dell’epoca, ma la seconda teoria la posso già scartare grazie alla chiusura dell’articolo “Dispositivi e Sistemi di mira nelle Balestre storiche” di Bruno Giannoni pubblicato sul numero zero/2 de “i quaderni della Balestra” e “Ars Historiae” anno 06 numero 20 dell’ottobre-dicembre 2009, nel quale egli annota che i reperti “… sono sempre privi di tracce, fori, tagli o alloggiamenti che possano fare supporre la precedente esistenza di un dispositivo di mira già montato”.

Ho cercato di fare mente locale partendo dall’ipotesi più semplice: i disegnatori dell’epoca non tralasciavano tutti lo stesso dettaglio.
Quindi ho proceduto cercando di calarmi (nei limiti della mia fantasia e delle conoscenze sul periodo in questione) nell’ottica del Balestriere medioevale. Cosa avrei voluto da una Balestra Manesca? E’ un’arma utilizzata in battaglia. Deve essere leggera, facile da usare e soprattutto semplice. Da sempre la semplicità é la caratteristica essenziale per un’arma da utilizzare sul campo. Se è semplice gli inceppamenti e altri problemi tecnici sono molto ridotti e la manutenzione è veloce. La regola utilizzata era per forza quella di oggi: ciò che non c’è non si rompe.
Un dispositivo di mira é sensibile ai colpi, può perdere l’allineamento corretto durante un utilizzo in situazioni di elevato stress come possono essere le battaglie. Un caso estremo mi si è presentato in una mischia al Castello della Pietra di Vobbia, dove ho dovuto parare un colpo di spada col teniere poiché alcuni armigeri ci avevano presi su un fianco; difficilmente un mirino sarebbe uscito illeso dall’impatto.
Un’eventuale molla per bloccare il dardo può creare impiccio anche durante un caricamento rapido effettuato in equilibrio precario in un prato in mezzo ad una mischia, bisogna infatti stare attenti a non agganciare abiti, cinture o la gonnella di anelli di maglia mentre si utilizza il crocco di fretta. Un aggancio indesiderato provoca un ritardo nel caricamento non ammissibile se dal tiro dipende la vita nonché l’esito della battaglia

Animato dalla curiosità e dalla voglia di dare una risposta a tali quesiti, ho cominciato a raccogliere quante più immagini possibili per trovare tracce delle “Parti Mancanti”.
Ho esaminato miniature, dipinti, affreschi e stampe delle fonti più disparate coprendo dal XIII al XV secolo.
Non ho individuato nulla che mi lasciasse supporre un organo di mira o di trattenuta del dardo, in compenso ho trovato qualcosa che non mi aspettavo: in quasi il 90% delle raffigurazioni la balestra è impugnata in maniera “anomala”.

La postura delle raffigurazioni si discosta da quella prima descritta solo per la posizione della mano sinistra che viene tenuta sotto alla noce.

Scena di caccia tratta dal “Libro Della Caccia Di Gaston Phoébus 1331-1391” Esempio di come viene impugnata la balestra nella maggioranza dei casi

Scena di caccia tratta dal “Libro Della Caccia Di Gaston Phoébus 1331-1391” Esempio di come viene impugnata la balestra nella maggioranza dei casi

Bibbia Maciejovski “The city of Hai is captured and its King is hanged”, dettaglio. Altro esempio delle modalità di imbraccio della balestra

Bibbia Maciejovski “The city of Hai is captured and its King is hanged”, dettaglio. Altro esempio delle modalità di imbraccio della balestra

In pratica entrambe le mani sono poste dietro la corda tesa della balestra.

Revisionando le immagini prestando attenzione a questo nuovo dettaglio sono giunto al trittico della “Battaglia di San Romano“ dipinto nel 1456 da Paolo Uccello.

In secondo piano tra i soldati si vedono 4 balestre, tre sulla sinistra e una sulla destra. Sono tenute alzate verso il cielo, cariche, con il dardo incoccato.

Dettaglio dalla “Battaglia di San Romano”, Paolo Uccello 1456. Si vede perfettamente la postura della mano sinistra

Dettaglio dalla “Battaglia di San Romano”, Paolo Uccello 1456. Si vede perfettamente la postura della mano sinistra

Essendo un grande cultore della prospettiva il Maestro dipinse le balestre in diverse angolazioni permettendoci di osservare come fosse impugnata l’arma.

La mano sinistra stringe la balestra all’altezza della noce e il pollice viene utilizzato per trattenere il dardo sul teniere, sempre restando dietro alla corda.

Da quella osservazione alla prova sul campo è intercorso solo il tempo necessario ad afferrare la mia balestra e andare nel mio terreno allestito alla bisogna.

Impugnando la balestra come l’iconografia migliorano stabilità e postura. Infatti arcuando leggermente la schiena all’indietro il gomito sinistro poggia sul petto riducendo i movimenti indesiderati durante la mira e il tiro, cosa che non si riesce a fare con la mano sinistra sotto al teniere poiché il braccio resta più teso. E’ da ricordare che le balestre di cui stiamo parlando avevano archi in legno o corno, e non in acciaio. Dunque archi leggeri che potevano essere sostenuti anche allontanandoli dal proprio corpo.

Trattenere il dardo col pollice è estremamente funzionale ci si può muovere senza che cada o si allontani dalla corda e si può mirare verso il basso.

Esempio del tiro dall’alto effettuato con balestra storica senza supporti per il dardo. Si vede bene il pollice sinistro che trattiene la quadrella

Esempio del tiro dall’alto effettuato con balestra storica senza supporti per il dardo. Si vede bene il pollice sinistro che trattiene la quadrella

Visione più panoramica del tiro dall’alto

Visione più panoramica del tiro dall’alto

 

Inoltre, ma sconsiglio di farlo con persone attorno, si può tenere la balestra carica con la sola mano sinistra e utilizzare la destra per altre azioni, ad esempio per spostare dei rami mentre si avanza in un bosco sempre pronti a imbracciare velocemente la balestra per tirare all’eventuale bersaglio.

La corda ha un diametro inferiore all’asta del dardo e quindi passa sotto al pollice. Anche nel caso che la corda sfiori il polpastrello non vi è problema alcuno poiché, essendo in partenza, non ha ancora convertito sufficiente energia potenziale in energia cinetica per arrecare danno.

Tiro con il pollice che viene sfiorato dalla corda. La balestra utilizzata è stata decorata in base a una interpretazione delle descrizioni presenti in atti notarili di G. Amaldolesio del 1262

Tiro con il pollice che viene sfiorato dalla corda. La balestra utilizzata è stata decorata in base a una interpretazione delle descrizioni presenti in atti notarili di G. Amaldolesio del 1262

Un dubbio era potenzialmente fugato, ma restava il problema della mira.

Dopo qualche tiro ho sperimentato l’uso dello stesso pollice che trattiene il dardo. Se il tiro deve essere effettuato su un bersaglio distante posto su un piano leggermente inferiore, pari o superiore al tiratore, si può utilizzare il pollice come tacca di mira per l’alzo tenendolo teso in verticale.

Dopo un po’ di allenamento con la mia balestra, avendo consolidato il modo di impugnarla, so che per un bersaglio a 25 metri l’alzo per il centro del bersaglio corrisponde alla metà dell’unghia del mio pollice sinistro.

Esempio di linee di mira a 25 metri

Esempio di linee di mira a 25 metri

Mantenendo come punto fisso l’appoggio alla spalla che quindi diverrà il perno degli spostamenti successivi per regolare l’alzo, allontanandomi dal bersaglio il traguardo scende lungo il pollice verso la balestra, avvicinandomi il traguardo sale e, quando sfiora la parte superiore del polpastrello, sono certo di essere “tarato” per un tiro a 6 metri.

Esempi di alzo alle diverse distanze,dall’alto 6, 25 e 50 metri con una balestra da 150 libbre

Esempi di alzo alle diverse distanze,dall’alto 6, 25 e 50 metri con una balestra da 150 libbre

Le misure riportate sono valide nel mio caso, ovviamente variano da un balestriere all’altro essendo dettati dalla lunghezza del pollice, dal modo di impugnare la balestra, dalla potenza dell’arco e dal tipo di dardo utilizzato.

Ma con un poco di allenamento diventa un riferimento utilissimo.

Certo in un tiro dall’alto non si può usare ma in effetti non è essenziale poiché il dardo avrà una traiettoria più simile ad una linea retta che ad una parabola come nel caso del tiro orizzontale

Per poter impugnare una balestra nel modo descritto è necessario che il fusto sia adeguatamente lungo, cosa che per altro traspare dall’iconografia.

A volte ho notato balestre piuttosto corte, realizzate così per facilitare il caricamento a mano senza crocco. In questo modo però si è obbligati ad impugnarle con la mano sinistra avanzata verso l’arco con i problemi che ne derivano.

Nel caso di rievocazione o ricostruzione storica la lunghezza del fusto deve essere adeguata a ciò che era storicamente. Nel periodo compreso tra XIII-XV secolo le balestre erano caricate col crocco o a leva. A dimostrazione di ciò esistono bandi di arruolamento dei balestrieri in cui si elencano anche gli accessori obbligatori e il crocco figura sempre. Anche l’iconografia non é da meno, sia nel libro diella caccia di Phoébus che in altre opere come ad esempio il Martirio di San Sebastiano di Piero del Pollaiolo (1475 erroneamente attribuito al fratello Antonio, conservato alla National Gallery di Londra) figurano il crocco e il metodo di caricamento.

La filosofia costruttiva del “ciò che non c’è non si rompe” permette di ottenere tre risultati in un colpo solo: le mani sono tenute lontano “dai guai”, sostituiscono parti che sarebbero state vulnerabili e la stabilità del balestriere durante il tiro è migliore.

Il massimo risultato col minimo sforzo.

Il collaudo prolungato di questa ipotesi potrà sancirne la validità o meno. Per ora alcuni balestrieri in erba, utilizzando la postura descritta stanno ottenendo risultati più rapidamente da chi, come me, ha iniziato con l’impostazione precedente.


Bibliografia:
Nilo Calvini – “Balestre e Balestrieri medioevali in Liguria” – edizioni Casabianca, Sanremo, 1982
Bruno Giannoni – “Dispositivi e Sistemi di mira nelle Balestre storiche”- articolo su “i quaderni della Balestra” zero/2   e “Ars Historiae” anno 06 numero 20 dell’ottobre-dicembre 2009


Immagini citate:

Bibbia Maciejovski circa 1250
Di origini francesi, la bibbia Maciejowski fu commissionata da Re Luigi IX di francia (1214-1270)
Secondo fonti autorevoli fu creata tra il 1244 e il 1254 da differenti artisti parigini le cui identità sono ignote.
Gli storici ipotizzano che approssimativamente nel 1300, il manoscritto sia stato trasportato dal suo luogo di origine parigino alla corte di Napoli. Qui furono aggiunte le descrizioni alle scene.
Non si sa in quale data il manoscritto fu portato a Cracovia, polonia. Nel XVII secolo fu trovata un’iscrizione quasi illeggibile sulla prima pagina che attribuiva la proprietà della Bibbia al Cardinale Bernard Maciejowski, (1548 – 1608) proclamato “Cardinale Prete della Santa Romana Chiesa, Vescovo di Cracovia, Duca di Siewierz, Senatore del Regno di Polonia”.
Nel Gennaio 1608 il Cardinale spedì il manoscritto in Isfahan, Persia (attuale Iran centrale), come dono a Shah Abbas Il Grande (1571 – 1629), Re di Persia.
Il manoscritto faceva parte di una missione in Isfahan, richiesta per Papa Clemente VIII, con l’intento di guadagnare i favori di Shah Abbas e assicurarsi un alleato per la campagna contro i Turchi. Shah Abbas fece aggiungere le descrizioni in persiano.
Nei primi anni del 1800 la bibbia fu venduta in Egitto, successivamente acquistata da un antiquario Inglese. Nel 1916 il manoscritto fu venduto a John Pierpont Morgan, fondatore della Pierpont Morgan Library di New York dove si trova attualmente archiviato col nome “Manuscript m.638”

Gaston Phoébus conte di Foix 1331-1391 “Livre de chasse” (libro della caccia) del 1387. Manoscritto conservato al dipartimento dei manoscritti alla Biblioteca Nazionale a Parigi

Paolo Uccello “Battaglia di San Romano” 1456 Particolare tratto dal pannello (Disarcionamento di Bernardino della Ciarda), conservato agli Uffizi di Firenze. Il dipinto narra la battaglia tra fiorentini e senesi, questi ultimi alleati ai milanesi, del 1 aprile 1432. Le tre tavole rappresentano tre momenti salienti della giornata.Le tavole erano state pagate nel 1438 dal ricco ed eminente Lionardo Bartolini Salimbeni, il quale aveva partecipato alla campagna di Lucca. I suoi due figli, Damiano e Andrea avevano trasferito l’opera nella villa di famiglia nei dintorni di Firenze, a Santa Maria a Quinto, sui colli a nord-ovest della città. Qui li vide Lorenzoil Magnifico, che insistette tanto per averle e le ottenne nel 1484.
Nel 1784 le tre tavole arrivarono agli Uffizi; in seguito si decise che i tre pannelli erano troppo simili e si tenne a Firenze quello meglio conservato (Disarcionamento di Bernardino della Ciarda), vendendo gli altri due come inutili doppioni.
La National Gallery di Londra acquistò “Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini” e il Louvre di Parigi “Intervento decisivo di Michele Attendolo a fianco dei fiorentini”